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Difesa sindacale n.2
 Bollettino di coordinamento dei Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n.6 dicembre ’11

 

Rompere con le compatibilità, superare le esitazioni.

                Dopo il “diktat “ della BCE che ha accelerato la caduta del governo Berlusconi, il successivo governo Monti è stato salutato con un’enfasi densa di sottintesi e ambiguità dalle forze politiche, imprenditoriali e sindacali. 
                Anche la CGIL, sensibile ai richiami delle componenti più moderate del Partito Democratico, non si è chiaramente sottratta ai richiami al “senso di responsabilità per salvare la nazione” di concertativa memoria e  neocorporativa sostanza
                Ciò, mentre sul fronte industriale le forze del capitalismo italiano, o meglio ciò che ormai di esso rimane, vibrano l’ennesimo fendente al contratto collettivo nazionale di lavoro quale strumento per la difesa degli interessi dei lavoratori.
                La dichiarazione di Sergio Marchionne di disdire tutti gli accordi sindacali presenti nel gruppo FIAT a partire dal prossimo gennaio 2012, è l’ultimo atto di una manovra che ha anticipato la fase politica che stiamo vivendo, caratterizzata dalle rigide direttive della BCE ai paesi maggiormente gravati dal debito pubblico e consistenti in tagli verticali al welfare e alla previdenza, nelle privatizzazioni e nella flessibilizzazione del lavoro.
                Il gruppo dirigente FIAT ha solo anticipato queste direttive. E’ stato costretto a scendere direttamente in campo in quanto consapevole dell’incapacità del governo Berlusconi nel sostenere le sue operazioni e della paralisi della Confindustria che, infatti, ha deciso di abbandonare, con una storica decisione, per avere le mani più libere, non ostante che la Marcegaglia alzi l’asticella delle richieste confindustriali dichiarando che, ormai “niente è intoccabile”.
                Da questi punti di vista appare riduttivo ritenere il governo Monti solo come il governo dei poteri forti, così come sbrigativamente viene definito: esso, più precisamente, costituisce il banco di prova dei nuovi assetti dell’imperialismo europeo che sconta tutti i suoi ritardi innumerevoli, dovendo stare unito, ma non riuscendo ancora a porre in essere l’unità degli intenti imperialisti.
                Si procede quindi per direttive e accordi separati che, limitando l’agibilità dei rispettivi governi e la funzione dei relativi organi istituzionali, usurano i contenuti della democrazia borghese che diviene sacrificata agli interessi del capitale finanziario, massima espressione dell’imperialismo.
                Il governo Monti è quindi qualche cosa di più qualificato di un semplice governo tecnico, autorevole espressione dei banchieri. Esso rappresenta un processo, sia pure incipiente, di autonomizzazione del potere politico e della sua compagine governativa dalla borghesia italiana la quale, consapevole dei suoi ritardi e della fragilità delle sovrastrutture politiche e istituzionali, delega a entità tecnocratiche il governo delle aree a rischio.
                Il gruppo dirigente della CGIL esula dalla considerazione di questi contesti reali e, privo di un analisi credibile delle tendenze del ciclo capitalistico nazionale e internazionale, subisce il richiamo al senso di responsabilità, conferendo credibilità al governo Monti.
                Si replicano così i peggiori anni della concertazione quando, agitando lo spettro della crisi e della provocazione terroristica, si acconsentì alle demolizioni del potere di acquisto dei salari e di storiche conquiste del lavoro, tramite la politica dei redditi.
                Nell’assemblea nazionale dei delegati tenutasi a Roma il 3 dicembre il segretario generale della CGIL ha sottolineato che le proposte annunciate dal governo sono  per adesso “indigeribili”. Su pensioni di anzianità e il non adeguamento al costo non si tratta”  e che la CGIL sosterrà le scelte giuste e contrasterà quelle sbagliate.
                Bene affermare il sano principio che chi più ha più paga e, quindi, di una patrimoniale non effimera ma che aggredisca realmente la ricchezza,  procedendo nella direzione dell’equità fiscale e della lotta all’evasione anche se suggeriamo che, essendo questa una voragine, non potrà certo essere fronteggiata con criteri ordinari, così come se fosse fisiologica e non strutturale.
                Benissimo quindi tassare la ricchezza e procedere all’eliminazione degli sprechi e dei privilegi di casta che caratterizzano le amministrazioni centrali e periferici dello stato, così come i costi della politica e i settori dirigenziali della pubblica amministrazione.
                Benissimo anche la lotta alla corruzione e alla grande criminalità che, sia detto per inciso, è dettata dalla speculazione economica e vanta profonde radici nella politica e nelle istituzioni.
                Bisognerà però esigere, con coraggio e determinazione, anche tagli significativi alle spese militari e il blocco degli interventi pubblici faraonici a elevato impatto ambientale (ponte sullo Stretto di Messina, TAV…)
                Ma la CGIL, per essere davvero credibile, dovrà svincolarsi dalla subalternità a ogni piano neocorporativo di unità e salvezza nazionale, per riaffermare la propria autonomia dal quadro delle forze politiche parlamentari, respingendo le pressioni delle componenti più moderate del Partito Democratico, e  articolare con decisione obiettivi unitari per la difesa degli interessi delle classi subalterne.
                Senza questa impostazione l’intero quadro degli obiettivi proposti dalla CGIL, qualunque esso sia, rischia di divenire velleitario se non addirittura collaterale agli intenti del governo, poiché le risorse andranno a finanziare il ripianamento del bilancio secondo i rigidi dettami del capitale finanziario europeo, della BCE e del governo Monti.             
                L’esitazione  della CGIL comporta il rischio di accettare una trattativa differita, scritta e presentata in base ai tempi e alle esigenze del governo e cioè della BCE:  prima le pensioni, poi l’ICI, dopo l’evasione fiscale e la riforma del mercato del lavoro… prima con quel ministro poi con l’altro… per cedere un poco di qui e meno di là… il tutto sotto il ricatto del default economico e finanziario subendo le pressioni della politica e dei vertici sindacali neocorporativi.
                Niente di tutto questo. La precondizione inderogabile per sedere al tavolo della trattativa deve quindi essere, per la CGIL, quella che il governo illustri chiaramente i contenuti e i tempi della manovra che intende realizzare, contrapponendo ad essa proposte in grado di ostacolare l’evidente tentativo di drenare risorse comprimendo le condizioni di vita delle classi subalterne per ripagare i costi della crisi:

  • le risorse recuperate dovranno finanziare un piano di investimenti pubblici mirato all’intervento nel settore idrogeologico e infrastrutturale (casa, viabilità, trasporti pubblici) per il recupero integrale del territorio, con particolare riguardo anche alle periferie degradate, ai centri storici e al ristabilimento della sicurezza e accessibilità negli edifici pubblici, con particolare riguardo alle energie alternative e alla bioedilizia;
  • altro fronte fondamentale sarà costituito dalla scuola, dall’università, dalla formazione e dalla ricerca, che necessitano di finanziamenti cospicui per invertire la tendenza allo smantellamento e alla privatizzazione, fornendo una prospettiva ai giovani;
  • sarà necessario respingere con energia ogni privatizzazione, rivendicando la natura pubblica dei servizi di istruzione, assistenza e previdenza;
  • i finanziamenti destinati ai giacimenti culturali dovranno essere potenziati con interventi mirati a fronteggiare il degrado per una loro completa valorizzazione.

                Ma questa azione, da sola, non potrà bastare: essa dovrà essere sostenuta, con consapevolezza e determinazione, da una decisa azione sindacale posta in essere dalla CGIL  e volta a riunire le vertenze contrattuali in un’unica grande vertenza dei lavoratori, dei disoccupati e dei precari, per cospicui aumenti salariali uguali per tutti, per la difesa e l’estensione dei contratti nazionali di lavoro, per la lotta al precariato e alla disoccupazione, per la difesa delle pensioni, per maggiori tutele e maggiori diritti, al fine di redistribuire più equamente la ricchezza sociale prodotta.
                Queste sono solo alcune direttrici di un’azione che si ripropone l’uscita dalla crisi senza comprimere gli interessi dei lavoratori, contemporaneamente  respingendo il miraggio imperialistico di ridare competitività al nostro sistema economico sui mercati esteri, così come la strategia riformistica inefficacemente persegue in totale subalternità alle strategie capitalistiche e alle ideologie neoliberiste. 
                La concorrenza dei paesi emergenti che dispongono di forza lavoro a basso costo non potrà certo essere contenuta intaccando i livelli salariali dei lavoratori e le loro storiche conquiste con riforme “bipartisan” così come, ad esempio, quella del mercato del lavoro, dai contenuti funzionali allo sfruttamento capitalistico.
                La nuova, vera riforma del mercato del lavoro dovrà scaricare i costi della crisi sulle rendite da capitale e sui profitti accumulati a scapito dei salari, collocandosi non in concorrenza ma nel senso della solidarietà internazionalista con i lavoratori di tutto il mondo.
                Ma la debolezza del gruppo dirigente della CGIL genera drammatici ritardi e esitazioni,  sia nelle prospettive dell’azione sindacale che nei metodi di lotta che rischiano di risultare inefficaci. Scioperi generali e manifestazioni per quanto importanti             possono finire nella ritualità e nell’autoreferenzialismo e, soprattutto, non essere risolutivi per la difesa degli interessi dei lavoratori. E’ necessario un salto di qualità.
                Gli obiettivi per fronteggiare la crisi e difendere gli interessi dei lavoratori non possono quindi continuare ad esser condotti all’interno delle singole categorie e dei singoli stati nazionali, così come gli scioperi generali e di categoria, che risultano sempre più inadeguati ai concreti processi di ristrutturazione e di internazionalizzazione del capitale e perciò inefficaci.
                Se l’azione della ristrutturazione capitalistica procede a livello internazionale dovrà internazionalizzarsi anche l’azione e l’organizzazione sindacale.
                In questo senso risulta imprescindibile iniziare a porre concretamente il problema del sindacato europeo per i contratti dei lavoratori d’Europa.
                 Sottoponiamo questi obiettivi e queste prospettive internazionaliste a tutto quel vasto tessuto di militanti sindacali che  nella CGIL si riconoscono nelle varie aree programmatiche e a coloro che hanno comunque a cuore la difesa degli interessi dei lavoratori, per il rilancio dell’opposizione di classe interna alla CGIL, per far si che essa divenga il riferimento per una generale opposizione sociale al governo Monti, espressione determinata del capitale finanziario europeo, arginando la deriva neocorporativa della responsabilità nazionale e per lanciare concreti moniti a tutti i governi futuri.

Aprire una vertenza generalizzata

Aumenti salariali uguali per tutti, maggiori tutele, maggiori diritti


Costruiamo l’unità internazionale dei lavoratori

Difesa Sindacale

 

 

E’ tempo di generalizzare il conflitto.
Unificare i diversi fronti sindacali e sociali.
“Gettare il cuore al di là del muro”

Cristiano Valente


                Ci siamo.  La manovra è stata fatta ed i pur timidi accenni ad una patrimoniale strutturale, che aveva visto persino settori del padronato invocarla come medicina seppur amara ma, necessaria,  è sparita del tutto.
                La vera ed unica “patrimoniale”  che la manovra introduce  è quella che grava sulla classe operaia, sui milioni di lavoratori e sulla gran parte dei pensionati.
                Oltre 18 miliardi, dei 22 previsti,  verranno prelevati dalle  pensioni dei lavoratori, fra ritardo dell’andata in quiescenza e soprattutto dalla non rivalutazione  annua indicizzata delle pensioni  e sulla reintroduzione dell’Ici , con gli estimi catastali rivalutati del 60%. Prendere i soldi alla maggioranza della popolazione per fare semplicemente cassa è una operazione che qualsiasi gabelliere è in grado di fare. Non c’era bisogno dei  Professori.
                Per stessa ammissione dei diretti responsabili si afferma sovente :
“siamo stati chiamati a fare quelle che le forze politiche, sensibili ai loro elettorati, non potevano fare”.
                Non si riesce a capire se una tale affermazione,  fatta per di più con un fare ieratico ed ispirato, viene declamata  come merito acquisito o constatazione ragionieristica,  certo è che tale ammissione è esplicita, di una verità che cocciutamente ripetiamo da sempre.
                Non c’è nessuna possibilità reale di risolvere le condizioni sociali delle classi meno abbienti se non si introduce nelle elaborazioni  teoriche e nelle prassi politiche dei movimenti, delle organizzazioni di massa e dei partiti del movimento operaio organizzato il superamento del sistema economico e politico capitalistico.
                Il determinismo del sistema economico e politico va interrotto.
Se ciò non avviene, qualunque  sia la compagine governativa al potere,  garantirà e privilegerà i poteri economici dominanti: quelli che oggi rappresentano, come con grande efficacia visionaria vengono indicati dal movimento Occupy  Wal  Streeet,  l’1% della popolazione mondiale.
                Ma la cosa ancor più tragica è che questa manovra non risolverà minimamente i problemi reali.
                Tutti i paesi hanno già varato o stanno per varare ulteriori manovre economiche fatte di nuove tasse ed  ulteriori tagli alle prestazioni sociali ed universalistiche, quali la sanità, le pensioni, l’ istruzione; eppure la crisi va peggiorando. Siamo già  nel  quarto anno  consecutivo dal famoso fallimento della Lehman Brothers. I dati Istat confermano un nuovo crollo della produzione industriale del  - 4,2% di  ottobre quest’anno rispetto al 2010.
                Le stime ufficiali degli stessi centri studi padronali e intergovernativi prevedono un 2012 in ulteriore recessione per tutta l’area europea e le stesse previsioni di crescita dell’area asiatica (soprattutto la Cina) sono in forte ribasso a causa della forte riduzione prevista delle esportazione verso l’area OCSE.
                Il motivo è che questa crisi, come tutte le crisi, non è affatto una crisi finanziaria.
I famosi mercati, che non sono altro che le stesse banche, aziende, trust, fondi di investimento compreso gli stessi Stati nazionali che chiedono sacrifici alle loro classi lavoratrici, continuano  a lucrare (anche se non sempre vi riescono ) attraverso la speculazione finanziaria, scommettendo sulla più o meno redditività dei vari bond e titoli  emessi. Ma la crisi non deriva da ciò.
                La crisi è crisi di sovrapproduzione di merci e di capitali. Nessuno più investe e nessuno più compra perché vi è un eccesso di offerta  e quindi una sovrapproduzione di merci e di capitali.  La crisi del credito è solo il sintomo di questa  malattia e allo stesso tempo è ciò che ha permesso al sistema di ritardarla.
                Alla fine, a bolla speculativa esplosa, le merci restano invendute, cominciano i ritardi nei pagamenti, la circolazione si arresta.
                E’  a questo punto che lo stesso credito si contrae e la richiesta di pagamenti in contanti contribuisce a conferire alla crisi la sua apparenza di crisi creditizia e monetaria.
Le merci restano invendute e perdono il loro valore ed i profitti attesi non possono essere realizzati.
Dietro alla crisi finanziaria c’è insomma una crisi di sovrapproduzione e di realizzazione del capitale.
                Nella crisi si è interrotto il ciclo di trasformazione della merce in denaro e si è prodotto quella caratteristica carestia di denaro che trasforma il denaro stesso in merce assoluta (superiore e contrapposta alle singole merci).
                L’enorme flusso di denaro pubblico andato a sostegno delle banche a livello mondiale, la forte riduzione delle entrate per la riduzione della tassazione dovuta alle politiche liberiste degli ultimi 30 anni, aggravata dalla riduzione drastica dei consumi e dell’occupazione degli ultimi quattro anni, ha ingigantito e reso cronico il debito pubblico o come oggi si usa chiamarlo sovrano.
Tanto da renderlo attaccabile dai famosi mercati in cerca di utili e remunerazioni sempre maggiori.
Per questo motivo che recentissimamente la  BCE, oltre a comprare direttamente i nostri titoli di Stato,  nel tentativo di non far schizzare gli interessi da pagare a cifre  doppie,  ha ridotto ulteriormente i tassi di interesse (portandolo all’1%).
                Inoltre per garantire una maggiore liquidità, il famigerato “crieit crunch” (le banche no si prestano più soldi neppure tra di loro) ha ampliato il ventaglio di “collaterali” che le stesse banche possono dare in garanzia dei prestiti Bce.
In pratica la spazzatura dei famosi “derivati” in cambio di soldi veri.
I mercati stanno agendo come un branco di predatori, in cerca di maggiori pasti.
Una volta momentaneamente saziati l’attenzione viene spostata su altre valute e su altri Stati.
I danni collaterali alle popolazioni e alle classi lavoratrici sono indifferenti a questi squali.
                La situazione della Grecia è emblematica a tale riguardo.
                I vari leaders occidentali, con  lingua biforcuta,  si stracciano le vesti sulla necessità di rilancio dell’economia e si dicono preoccupati della situazione, auspicando, come recentemente ha fatto lo stesso leader USA, Obama,  una tenuta dell’euro e dell’ intera economia europea.
In realtà lee maggiori potenze cercano di far ricadere le conseguenze della crisi su gli Stati più deboli .
                Il dollaro per salvarsi mette in crisi l’euro e i fondi pensioni americani vendono i titoli dei paesi europei,  mentre le banche tedesche e francesi corrono a disfarsi dei debiti italiani con un effetto domino da cui non si salva nessuno.
                La Cftc , , l’autorità Usa dei  “futures”,  solo pochi giorni fa, ha imposto alle società di intermediazione limiti rigorosi all’acquisto dei bond stranieri ritenuti rischiosi. Di fatto un quasi divieto di acquisto di bond europei. Alla faccia dell’interesse pubblico manifestato di una tenuta dell’area dell’euro.
                Il risultato di tale processo, ingigantito dalla babele infinita di transazioni finanziarie planetarie, vista l’assoluta libertà di circolazione dei capitali disposti  a disinvestire in titoli prima considerati certi, quali i titoli di stato,  ma che oggi rischiano di svalutarsi o di diventare carta straccia, come quelli greci,  è una drastica riduzione del ruolo degli  Stati nell’economia e maggiore campo libero lasciato al capitale privato ed alle multinazionali.
                E’ in questo quadro complessivo che va inserito il senso ed il  significato delle liberalizzazioni, previste già dal governo Berlusconi e confermate dal governo Monti e incentivate in tutti gli Stati nazionali dai vari governi sia di centro destra che di centrosinistra.
                E’ questo il reale motivo dell’attacco al Welfare, cioè al nostro salario differito. Sempre più spazi e ambiti che per definizione dovrebbero essere solidali  ed universalistici , quali il trasporto, la sanità,  l’istruzione, la ricerca, la previdenza, devono entrare direttamente nella dimensione privatistica e mercantile.
                Il capitalismo ha bisogno in questo momento di distruggere e di ridurre il valore delle merci, per poter successivamente ripartire con un processo di accumulazione ulteriore, garantendosi maggiori profitti.
                In altri periodi storici, il capitalismo ha risolto questa insita contraddizione con guerre e distruzioni immani o con lunghi periodi di deflazione, cioè svalutazione costante del valore delle merci e dei capitali. E’ auspicabile che l’entità di distruzione del capitale necessaria per far ripartire i profitti non sia così alta e così drammatica da correre il rischio di far ripartire i vari nazionalismi
Certo è che tali sirene sono già in funzione e non solo da parte dei partiti conservatori.
                La stesse presunte terapie di urto contro questa crisi che vengono indicate da settori democratici e finanche da settori della  sinistra più radicale, quali l’ipotesi e la necessità della creazione di  eurobond  o  le ancora più astrattissime ipotesi di  una rinascita europea dei popoli in contrapposizione ad una Europa dei tecnocrati e solo unione monetaria,  non  chiarisce la portata vera della crisi in atto e l’attacco che tutta la borghesia come classe, pur in lotta fra loro, sta portando nei confronti del  proletariato e delle masse lavoratrici tutte.
                Non possiamo permettere che i lavoratori italiani, tedeschi, inglesi, francesi diventino ancora massa di manovra al servizio delle  proprie borghesie nazionali.
                Nessun gesto o sghignazzo della Signora Merkel o di  Sarkosy  può giustificare l’attacco alle popolazioni ed alle classi lavoratrici francesi, tedesche e di nessuna altra nazione. L’attacco alle classi lavoratrici è diretto e violento.
                La lettera della Bce, destinata al governo Berlusconi sostituito dai gabellieri /professori del Governo Monti testimonia esplicitamente quali sono gli indirizzi
                Ricacciare tutte, ma tutte le conquiste avvenute con oltre 40 anni di lotte e di battaglie nel dimenticatoio della storia, avere una forza lavoro sempre più docile, ricattata, non organizzata;  avere una forza lavoro sconfitta, ricattata, disunita, deprivata delle proprie organizzazioni a cui concedere in maniera compassionevole un obolo di carità quando non potrà avere nemmeno una pensione dignitosa per sopravvivere.
“..piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali …. Riformare il sistema di contrattazione  salariale collettiva permettendo accordi a livello d’impresa …. revisione delle norme che regolano  l’assunzione e il licenziamento … riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e se necessario, riducendo gli stipendi  1) .
                Questa è la missione del governo Monti. Lacrime e sangue.
Sono queste le ricette da adottare che nel crescere delle emozioni giuste e motivate per essersi finalmente liberati di  Berlusconi e dei suoi gorilla forse sembrano  dimenticate.
                A tutto ciò si aggiunga la non trascurabile vicenda FIAT e le scelte che l’amministratore delegato S. Marchionne ha fatto in relazione all’allargamento del modello Pomigliano all’intero gruppo, culminate con il recente accordo, firmato da FIM-CISL e UILM-UIL, sull’estensione del modello “Pomigliano” a tutti gli stabilimenti FIAT e che priva la FIOM, che questo accordo non ha giustamente firmato, di ogni rappresentanza.
                Come altre volte abbiamo  già detto e scritto, la vicenda  FIAT sarà inevitabilmente foriera di nuove relazioni industriali per  tutti i lavoratori: essa costituirà un modello che tenderà a generalizzarsi, e non ci sembra ancora che all’interno della stessa CGIL ci sia una chiara consapevolezza della posta in gioco, a giudicare dalle esitazioni del suo gruppo dirigente che continua a subire le pressioni dei settori più moderati del Partito Democratico.
                Si lascia la sola FIOM a gestire la battaglia e non si generalizza lo scontro. Lo stesso sciopero del 12 dicembre, seppur generale e positivamente svolto insieme alle altre sigle sindacali, non si discosta da una pura e semplice necessità di richieste di modifica della manovra economica, realizzando un’unità sindacale che suona come un inefficace compromesso al vertice laddove consapevolmente si omette la tematica contrattuale che, anzi, è elemento di divisione con CISL e  Uil nello stesso svolgimento dello sciopero.
                Il problema fondamentale dell’oggi  è che manca  un ruolo di rappresentanza generale dei lavoratori e  a maggior ragione delle nuove generazioni.
                Al momento la battaglia è sparsa, rischia di demotivarsi o di prendere altre strade contro nemici esterni.
                La vicenda del rogo del campo Nomadi di Torino a seguito di una presunto stupro di una ragazza di sedici anni, l’assassinio di due immigrati senegalesi consumato a Firenze da un neofascista costituiscono i segnali di un razzismo di ritorno che rischia di replicarsi in tutta la sua disgregante criminale drammaticità.
Occorre ottenere e presto dei risultati anche parziali.             
                Tentare di riunificare i mille rivoli del conflitto e della resistenza, svolgere la funzione di lievito per una politica autonoma in difesa degli interessi immediati e storici delle classi lavoratrici e delle nuove generazioni : è questo il compito che dobbiamo svolgere.
Stampa, televisione, leaders d’opinione, politici, sindacalisti continuano  a ripetere  che i sacrifici oltre che necessari devono essere equi. Si blatera e si porta a giustificazione che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e per questo oggi siamo chiamati tutti a pegno.
                Ma che pegno mai può aver da dare un pensionato dell’acciaierie di Piombino che è andato in pensione dopo 35 o 40 anni di lavoro agli altiforni?
                Che sacrificio ulteriore deve fare un autista degli autobus Barese monoreddito che per la mancanza di edilizia popolare  si è messo sul groppone suo e dei propri figli u mutuo da 100 mila euro da pagare in 30 anni,  magari a tassi variabili ?
                Quale sacrificio può fare o deve fare un giovane Genovese che non ha mai trovato un lavoro a tempo indeterminato e che non può permettersi di programmare nemmeno  la sua vita a breve come la scelta di  fare un figlio o di comprarsi una casa ?
Noi siamo fra questa gente. Questa è la nostra gente.
Ai militanti comunisti anarchici e libertari impegnati nella lotta di classe e nel sindacato spetta tale compito affascinante se pur immane.

Note:   1) Vedi articolo Difesa Sindacale  n° 5 ottobre 2011

 

MEMORIA

Pietro Ferrero

ferrero

18 dicembre 1922 - Muore Pietro Ferrero anarchico, segretario della FIOM torinese, trucidato dallo squadrismo fascista

 Pietro Ferrero
(Grugliasco, Torino, 12 maggio 1892 - Torino, 18 dicembre 1922), anarchico e segretario della FIOM torinese, il sindacato dei metalmeccanici aderenti alla CGL, fu trucidato dallo squadrismo fascista. 
 La vita
Pietro Ferrero nasce a Grugliasco (Torino) il 12 maggio 1892; nel 1918 viene assunto alla FIAT. Nel 1910 è tra i primi aderenti al Centro di studi sociali della Barriera di Milano (Torino), che successivamente si trasforma in Scuola moderna "F.Ferrer", di cui diviene segretario nel 1911. La scuola, ispirata ai principi pedagogici libertari di Francisco Ferrer, è diretta dall'amico anarchico Maurizio Garino e vede tra i suoi allievi numerosi operai e proletari in genere. 
Durante la Prima guerra mondiale Ferrero è attivo contro le derive riformiste del sindacato, militando, insieme all’amico e compagno Garino, nell’ala intransigente, rivoluzionaria e anticorporativista della FIOM. Nel 1917, insieme ai compagni anarchici della Barriera di Milano (quartiere di Torino), partecipa ai moti di Torino contro il padronato e la guerra; nel 1919 viene eletto segretario della sezione torinese della FIOM. Durante il suo segretariato è impegnato in varie lotte sindacali, sempre fianco a fianco di Maurizio Garino, tra cui il cosiddetto "sciopero delle lancette" (aprile 1920) contro la decisione unilaterale della Fiat di spostare l'orario di lavoro da l'ora solare a quella legale e negli eventi che porteranno all’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. In luglio, prima delle occupazioni, aveva presieduto un’assemblea delle Commissioni interne dei Consigli di fabbrica nella quale aveva sostenuto che «le masse torinesi sono pronte a tutto», invitando la FIOM ad affiancarsi all’USI nella lotta rivoluzionaria. 
Nel corso delle occupazioni è tra i militanti più attivi e intransigenti, opponendosi alla ratificazione riformista dell’accordo "D’Aragona-Giolitti" (che poneva fine alle occupazioni), sottolineando il pericolo che incombeva sull'Italia mediante le "profetiche" parole di Errico Malatesta: «Se gli operai abbandonano le fabbriche, si aprono la porte alla reazione del fascismo». 
Ferrero muore tragicamente, assassinato dalle squadracce fasciste di Piero Brandimarte (l'assassino nel dopoguerra verrà reintegrato nell’esercito e poi seppellito con tutti gli onori), il 18 dicembre 1922, dopo lunghe ed atroci sevizie: il cadavere straziato fu legato ad un carro e trascinato per le strade di Torino come trofeo di vittoria.  
Testimonianza sulla morte di Ferrero  
Testimonianza di Maurizio Garino sull'atroce morte inferta a Ferrero dai fascisti: «Ho poi saputo che Ferrero, preso nel pomeriggio, messo nella portineria della Camera del Lavoro, fatto sedere nell'angolo, gli angoli erano occupati da quattro persone. Uno l'ha riconosciuto, ma non hanno dimostrato di conoscersi. Ferrero, sputacchiato dai fascisti. " Vigliacco! Sfruttatore degli operai!". Insomma hanno cercato di umiliarlo in tutti i modi. Pugni, ogni tanto una bastonata».
«[...] E poi verso mezzanotte l'hanno legato al camion e l'hanno trascinato dal numero 12 di Corso Siccardi fino al monumento di Vittorio Emanuele, dietro un camion. Arrivato là era più morto che vivo, si capisce, e allora l'hanno finito sotto il monumento e l'hanno lasciato là. Morto. E naturalmente alla notte qualcuno l'ha preso e l'ha portato all'ospedale, ma era già morto. E io al mattino l’ho trovato là. Era il 18 dicembre del 1922».
«[...] Poi il giorno dopo il funerale. Una mattinata nebbiosa, fredda! Il funerale era presto, alle otto. E allora ci troviamo lì, al cimitero, eravamo cinque uomini, undici donne, compresa mia moglie. Ecco, io ho poi commentato in certe interviste, con più di ventimila organizzati dalla FIOM, non c'era un rappresentante della FIOM. [...] Eccolo l'effetto del terrore fascista». 
 Il ricordo di Gramsci
«Organizzatore serio e onesto, invano gli industriali metallurgici e i mandarini della FIOM tentarono di corromperlo, di farne un funzionario sindacale secondo il conio confederale. Ferrero ha sempre testualmente risposto: "Son qui per difendere gli interessi e le aspirazioni degli operai metallurgici, e li difenderò fino a quando essi vogliono che io rimanga a questo posto". 
In molte occasioni Ferrero seppe sventare intrighi e compromessi che la FIOM e la Confederazione generale del lavoro imbastivano con gli industriali, impedendo così che altri tradimenti si verificassero. Gli industriali avevano ben compreso che Ferrero era l'anima degli operai e che non sarebbe mai diventato un loro collaboratore; perciò lo segnarono nella lista dei condannati a morte consegnata agli esecutori, loro mercenari. Ciò hanno ben compreso gli operai: essi sanno e ricorderanno sempre perfettamente che se gli uccisori materiali sono stati i fascisti, i mandatari dell'uccisione, i finanziatori dell'orgia scellerata sono stati gli industriali padroni. 
Gli operai metallurgici torinesi non dimenticano che il giorno della sepoltura del loro segretario dovettero forzatamente rimanere inchiodati ai loro banchi di lavoro, alle loro macchine, senza poter partecipare all'accompagnamento funebre di chi tanto aveva fatto per loro, di chi la vita aveva perduto nella lotta per l'emancipazione proletaria. Ricordo di aver incontrato, in quei giorni, moltissimi dei suoi vecchi compagni di fabbrica: tutti, col più profondo dolore e coi denti stretti per la più santa collera, dicevano: "Nel giorno della sepoltura del nostro difensore, di Ferrero, siamo rimasti tutti al nostro posto di lavoro". 
Non per viltà, non perché avessimo dimenticato il Ferrero e la sua opera, ma per un fenomeno mai prima provato, di sconforto, di sconcertamento; inoltre, i compagni comunisti e i membri delle commissioni interne erano stati licenziati; passò nelle officine come un'ondata di raccapriccio che paralizzò tutto, come si dice avvenga dopo i terremoti. Ma il nostro pensiero era rivolto a Ferrero e il suo nome correva sulle bocche di tutti. Allora tutti i lavoratori fecero un sacro giuramento: vendicare Ferrero e tutti gli altri compagni massacrati dalla borghesia». 
 In memoria di Ferrero  
Durante la resistenza antifascista alcuni partigiani anarchici costituirono una formazione che agiva nel torinese, particolarmente attiva durante l’insurrezione alle ’Ferriere Piemontesi’, denominata 33° battaglione SAP "Pietro Ferrero" in onore all’anarchico Ferrero.